Alberto Angela ci presenta il suo nuovo libro “Cleopatra la regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità” (Harper Collins, 450 pagine, 20 euro) con la consueta gentilezza e disponibilità. Vi ripropongo l’intervista rilasciata su “Il Mattino” all’amico Marco Perillo.
Angela, perché si è appassionato a Cleopatra dedicandole un libro, dopo aver parlato di grandi tematiche o luoghi come Roma, Pompei, la Cappella Sistina?
«C’è un precedente, quello sulla Gioconda, non a caso un’altra donna. Grazie a figure come lei o a quella di Cleopatra si riesce a esplorare un mondo che non c’è più. I palazzi dove viveva Cleopatra, dove riceveva i suoi amori, non sono più in piedi. Eppure parliamo ancora di lei, un emblema della storia. Attraverso la sua figura volevo fare un viaggio nel passato, coinvolgendo gli altri. I lettori scopriranno con me sia un’epoca che una persona. Questo libro è il frutto di un anno di ricerca di informazioni, di interviste, di consulenze; un lavoro in fieri che mi ha rapito particolarmente. Il motivo? Cleopatra si trova in un punto fondamentale della storia: alla fine di tutti i regni in Egitto e all’inizio dell’impero romano. Ed è grazie a lei che tutto questo avviene. Ha fatto sì che Augusto prendesse il potere, velocizzando i meccanismi storici».
Era una donna modernissima. Pensiamo alla sua cosmesi, alla conoscenza della contraccezione, al suo essere «in carriera»…
«Proprio così. All’epoca le donne erano fuori dal cono di luce, sia nelle famiglie che nel governo. Lei invece è una figura completa, ha una mentalità moderna in un mondo antico; è allo stesso tempo sovrana, moglie, madre, amante, condottiera, ammiraglia. Mai vista una persona così in tutta la storia. Forse solo Elisabetta d’Inghilterra, ma non era così completa. Cleopatra, ai suoi tempi, era diversa perché era istruita. Ad Alessandria c’era l’ellenismo, un momento della cultura umana che voleva unire il meglio di culture di popoli diversi. Pensiamo alla nota biblioteca, ai musei, ai centri di ricerca di quella città. Non è un caso che Cleopatra abbia scritto trattati di farmacologia, che parlasse molte lingue, che sapesse esporre concetti importanti in discorsi ineccepibili. La sua intelligenza, più che la sua bellezza, era la sua forza».
E in un’epoca come quella di oggi, in cui parliamo di «me too», assume una particolare forza.
«Lei è la dimostrazione di quanto abbiamo perso nella Storia. Era l’emblema di una donna istruita, con le stesse opportunità degli uomini. Seppe emergere in un’epoca altrettanto maschilista cambiando gli eventi. Se nel corso dei secoli ci fossero state più donne di questo tipo la storia sarebbe stata diversa e oggi saremmo molto più avanti».
Cesare e Antonio: chi l’amò di più?
«Antonio. Perché quando conobbe Cesare lei era una ventenne e lui cinquantenne. Fu in qualche modo costretta ad amarlo, colpendolo grazie al suo modo di parlare. Hanno due interessi evidenti: lei va sul trono e ha un figlio da lui, Cesarione; lui, grazie a lei, riesce a gestire un regno ricchissimo di grano. Con Antonio è diverso; con lui ha tre figli e una storia lunga 11 anni. Un uomo che seppe starle davvero accanto fino alla fine: dopo averlo perso, ormai sconfitta da Ottaviano, Cleopatra si suicidò».
Fu davvero un serpente a ucciderla?
«Questo è uno dei tanti miti da sfatare, come quello che fosse una strega o una donna dal fascino irresistibile. Non fu una vipera ad ucciderla, e nemmeno un cobra, la teoria dei serpenti non quadra per ragioni di tempistica. Lei era prigioniera nel suo palazzo, in Egitto. Ottaviano l’assedia fuori da Alessandria. Lei organizza un banchetto e poi dà ordini sulla sua sepoltura. Ottaviano viene a saperlo, capisce che si vuole suicidare ma dopo mezz’ora dal suo intervento Cleopatra è già morta con le sue dame di compagnia. Non trovano serpenti accanto ai loro corpi, né morsi. Probabilmente si avvelenò con un cocktail composto da cicuta e oppio».
Si parla anche della Tazza Farnese, custodita al Museo Archeologico di Napoli.
«È stata realizzata in ambiente alessandrino ed è un’opera che arriva da quel mondo ellenistico, da quel livello culturale. È di una raffinatezza unica, custodita in quello che per me è il più bel museo archeologico mai visitato».
E a proposito di Napoli, cosa bolle in pentola? Lei è stato di recente visto girare al San Carlo.
«Per la serie Meraviglie di Raiuno giriamo l’Italia dei siti Unesco. Il San Carlo è stata una tappa importante, un luogo straordinario. Ogni volta che ci metto piede non mi ci abituo mai. È davvero il più bello d’Europa e quindi del mondo. Si ha l’impressione di entrare in un’ostrica che ha generato perle rare. L’Italia ha regalato al mondo un tesoro immenso e forse lo dimentichiamo. Sta a noi ricordarcelo il più possibile ed essere orgogliosi di quanto il passato ci ha saputo donare».