WhatsApp è diventato il fulcro di un nuovo modo di comunicare, al punto dal poter essere definita quasi come un bene di primaria importanza per i cittadini che, ormai da anni, hanno preferito mettersi in contatto con i propri cari e i propri amici sfruttandone al massimo le potenzialità. Ma così come è accaduto per Facebook, anche WhatsApp è diventata terreno di scontro per numerose battaglie legali nonostante in molti siano convinti che all’interno delle chat tutto sia permesso. Si è riscontrato, in particolare tra gli utenti più giovani, un utilizzo spesso improprio della chat, consistente nella creazione di gruppi in cui viene diffuso materiale la cui mera detenzione implica la commissione di reati. Si tratta di materiale pedo-pornografico, ossia immagini e video di carattere sessualizzato che vedono rappresentati minori. Accade di frequente inoltre che il materiale pedo-pornografico sia accostato a immagini di tipo ‘gore’ o ‘splatter’, ossia dai toni di esasperata violenza rivolta anche verso soggetti deboli come appunto i minori. Analizziamo insieme sei comportamenti che potrebbero costarci caro:
1) Condivisione di clip pornografiche
Vendette, cyberbullismo, ricatti. Tutte piaghe sociali che, spesso, corrono sugli smartphone con WhatsApp, tra risate e drammatica indifferenza. Ma tra le più crudeli pratiche spiccano decisamente quelle del revenge porn e della condivisione di clip pornografiche all’insaputa del proprietario (o della proprietaria) del video. Una pratica decisamente illegale e che diventa più grave qualora si si trattasse di materiale pedo-pornografico. La normativa di riferimento è l’art. 600 quater c.p che contempla l’arresto facoltativo per il caso di detenzione di ingente quantitativo di materiale pedo-pornografico, implicante ossia la presenza di minori coinvolti in atti sessali. È inoltre penalmente rilevante la diffusione di immagini o video di nudo di persone non consenzienti: in tali casi è ravvisabile una diffamazione o, nelle circostanze più gravi, il nuovo reato di porn revenge introdotto dalla L.69 del 2019.
2) Le molestie su WhatsApp
Può una persona, di qualsiasi genere, denunciare alla Polizia Postale di essere molestato/a su WhatsApp? Quali possono essere le conseguenze di chi molesta? La risposta è molto chiara: Nel caso di molestie realizzate tramite qualsiasi strumento, anche virtuale come WhatsApp, la vittima può formulare querela per il reato di cui all’art. 660 c.p.. Il responsabile va incontro ad una pena dell’arresto fino a 6 mesi o dell’ammenda fino a 516 €. In casi più gravi ove la condotta acquista i caratteri della serialità potrebbe essere integrato il reato di atti persecutori (cd. stalking) di cui all’art. 612 bis c.p..
3) Condivisione di messaggi di odio contro religioni o gruppi etnici
Parliamo in questo caso del cosiddetto “hate speech” un altro fenomeno che la Polizia Postale monitora nel quotidiano con particolare attenzione: oggi significa soprattutto linguaggio discriminatorio, razzista ed in alcune circostanze anche antisemita. I profili di rilievo penale riguardano in particolare l’istigazione a delinquere di cui all’art. 414 c.p e più nello specifico la propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa previsto dall’art. 604 bis c.p. introdotto di recente dal legislatore.
4) La condivisione di fake news
Le conseguenze della consuetudine della condivisione delle fake news sono spesso sottovalutate. Questo comportamento può integrare il reato di diffamazione in particolare quando viene lesa la reputazione di terzi. In casi più gravi, la fake news potrebbe addirittura incidere sulla sicurezza pubblica comportando per il responsabile la commissione di reati quali il procurato allarme presso l’autorità o la pubblicazione notizie false atte a turbare l’ordine pubblico.
5) Creazione di un account WhatsApp a nome di qualcun altro
Uno dei fenomeni più diffusi su WhatsApp, su Facebook e su Instagram, è la creazione di account fake a nome di terzi. Persone, tra l’altro, del tutto inconsapevoli dell’accaduto e che spesso vengono immischiate in casi di stalking o cyberbullismo. Una vera e propria sostituzione di persona, severamente punita anche in casi “virtuali”: “Si tratta di un fenomeno che si rileva di frequente soprattutto quando vengono trattati casi di cyber-stalking o di cyber-bullismo in cui l’obbiettivo del responsabile è aggredire proprio l’identità della vittima rimanendo anonimo, talvolta celandosi dietro profili falsi. Il reato in questo caso è la sostituzione di persona, previsto dall’art. 414 c.p.”.
6) Le responsabilità degli amministratori dei gruppi di WhatsApp
L’ultimo caso che trattiamo è quello della responsabilità che hanno gli amministratori dei gruppi nei social network. L’abbiamo visto su Instagram, Facebook e su WhatsApp: gli amministratori dei gruppi possono essere rintracciati e denunciati, quando viene scoperto che qualsiasi membro del gruppo promuove attività illegali. L’attività investigativa della Polizia Postale è rivolta proprio all’individuazione sia degli amministratori che dei partecipanti ai gruppi. Ciascuno di questi potrebbe incorrere nella commissione di vari reati tra i quali ad es. la diffamazione e le minacce, stante il fatto che tali gruppi sono spesso utilizzati per commentare fatti d’attualità che suscitano grande fervore. Le tecniche forensi che negli anni sono state sviluppate consentono di ricostruire in modo analitico lo storico delle attività di ogni singolo utente definendo di conseguenza i singoli profili di responsabilità. Qualora si fosse stati aggiunti involontariamente in una chat di tale tenore, il consiglio è di segnalare immediatamente l’evento alle autorità. Inoltre, per evitare che ciò accada, potrebbe essere utile bloccare gli inviti ai gruppi di WhatsApp, tramite una procedura da poco disponibile nell’app per i messaggi gratis.